Il coming out non è (solo) un fatto privato
Perché a volte è importante parlare dei fatti propri al lavoro
di Roberto Rafaschieri

Roberto Rafaschieri
Consulente per la comunicazione di impresa e formatore specializzato in media digitali e tematiche DE&I. Ha co-fondato indig, realtà che si occupa di comunicazione inclusiva e accessibile.
Aiuta aziende e organizzazioni a valorizzare il proprio impegno sociale attraverso la comunicazione.
Perché dovremmo preoccuparci di come le persone parlano dei fatti propri al lavoro? Quando si parla di coming out è interessante mettere a fuoco uno squilibrio di fondo: le persone eterosessuali e cisgender possono menzionare, anche di sfuggita, elementi della propria quotidianità senza temere ripercussioni o senza dover premettere spiegazioni. Per molte persone queer, invece, quel medesimo terreno è costellato di valutazioni continue su parole, tempi e contesti. Il tema prende forma nella disparità di agio e di rischio che grava su chi non rientra in un’idea diffusa di “normalità”, e che trasforma un gesto banale in una decisione identitaria.
In questo articolo cercheremo di capire in che modo il coming out è centrale nella vita di una persona queer, e in che senso un’organizzazione può riconoscere e farsi carico della sua importanza sociale.
Nota: in un altro articolo già pubblicato su questo portale è possibile consultare un piccolo glossario che chiarisce il significato di termini legati all’identità sessuale e alla comunità LGBTQ+ utilizzati nel testo.
In Italia capita di frequente che vengano utilizzate in modo intercambiabile le espressioni outing e coming out. C’è però una differenza sostanziale tra questi termini – legata al loro significato originario in inglese – che è bene avere chiara.
Coming out fa riferimento a un’azione individuale e volontaria di rivelare un proprio tratto identitario.
Outing invece indica il rivelare un simile tratto identitario di un’altra persona senza il suo consenso. Si tratta quindi di una vera e propria violazione della privacy, che può esporre la persona interessata a potenziali rischi.
La dimensione del coming out
Per una persona queer i coming out all’interno delle varie sfere sociali che si abitano nel corso della vita sono passaggi cruciali. Da un punto di vista psicologico, fare coming out può portare a un rafforzamento dell’autostima, una riduzione dell’ansia e in generale allo sviluppo di una maggiore resilienza emotiva.
Rivelare il proprio orientamento sessuale, quando non eterosessuale, o la propria identità di genere, nel caso non si sia persone cisgender, significa ancora oggi nella nostra società esporsi al rischio di marginalizzazioni, discriminazioni, e anche violenze (qui un elenco non esaustivo di casi recenti di violenza omotransfobica in Italia). Naturalmente i luoghi di lavoro non sono immuni da queste dinamiche.
Alcune indagini recenti di Istat e Unar sulle discriminazioni vissute sul lavoro dalle persone trans e non binarie e dalle persone LGB+ lo testimoniano. Il 46,4% delle persone trans dichiara di “non aver partecipato a un colloquio o di non aver presentato domanda per un lavoro, pur avendone i requisiti, perché la propria identità di genere ne avrebbe condizionato negativamente l’esito”. Oltre 8 su 10 hanno riportato almeno una forma di micro-aggressione legata all’identità di genere avvenuta in ambito lavorativo. Il 61,2% delle persone LGBTQ+ ha evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale.
Una responsabilità condivisa
Per quanto il coming out rimanga una scelta individuale, ha senso per un’organizzazione considerarlo una responsabilità condivisa. Perché una persona che si sente libera di esprimere apertamente la propria identità è una persona più felice di partecipare alla vita lavorativa, e perché si può fare qualcosa che non sia semplicemente aspettare che questo senso di sicurezza e libertà si manifesti da sé.
Ragionare sulla propria esperienza individuale può essere un esercizio utile per ragionare di quanto realmente inclusivo sia l’ambiente di lavoro all’interno dell’organizzazione. Un modello di riflessione è quello già proposto da Humee.
Si articola a partire da una domanda: qualcuno al lavoro da te ha mai fatto coming out?
Se mai nessuna persona da te ha fatto coming out, chiediti: il clima aziendale è abbastanza sicuro e percepito come inclusivo, da permettere a una persona queer di sentirsi sufficientemente a proprio agio per fare coming out?
Se invece è successo chiediti: è stato volontario?
Se la risposta è no…
- … perché un’altra persona ha divulgato l’informazione, si parla di outing. Non è un fatto da sottovalutare: la privacy di una persona è stata violata. È urgente affrontare il problema ed eventualmente formare il team o ripensare alcune procedure.
- … perché la persona interessata ha dovuto rivelare un proprio tratto identitario, la situazione è comunque non ideale. Potrebbero esserci stati dei vincoli burocratici (documenti, sistemi informatici, procedure…) che hanno forzato il coming out. Ci sono contromisure: un esempio su tutti è l’identità alias.
Se la risposta è sì:
Ottimo! In azienda viene percepito un clima di fiducia, rispetto e sicurezza: è un patrimonio prezioso, che va mantenuto nel tempo.
È facile pensare che un clima di rispetto e accoglienza reciproca si mantenga da sé grazie alla buona fede delle persone che lo creano. È un ragionamento che può funzionare in rare e fortunate circostanze, ma non rappresenta la norma.
Il contesto sociale in cui tutte le organizzazioni sono immerse non è, ancora troppo spesso, un granché accogliente e sicuro per le persone LGBTQ+. La cosa più naturale che può succedere è che un campione più o meno casuale di persone sviluppi forme di cristallizzazione di aspettative e di un’idea di normalità affini a quelle del mondo circostante. È la coesistenza con le diversità che va allenata e praticata.
Come per tutte le attività legate alla DE&I, le potenzialità da sbloccare sono innumerevoli.
Dalla costruzione di un maggior senso di fiducia condiviso tra tutti i membri del team a un maggiore coinvolgimento personale nella ricerca del successo professionale tramite la collaborazione. Sono obiettivi raggiungibili – e di cui possono beneficiare tutte le persone del team – anche attraverso la cura di un elemento importante e delicato come il coming out.