Pubblicità e Diversity, Equity & Inclusion
A che punto siamo?
di Alexa Pantanella

Alexa Pantanella
Esperta di linguaggi inclusivi e accessibili, Fondatrice di D&I Speaking©, TedX Speaker, è autrice di due saggi: Ben Detto, dedicato al tema del linguaggio inclusivo, e Eppur ci siamo, dedicato alle narrative e rappresentazioni delle persone con disabilità.
Da sempre appassionata di linguaggio, ha un passato nelle agenzie creative, in Italia e all’estero, dove ha vissuto otto anni. Tornata in Italia, è stata Responsabile Comunicazione e Media di una grande azienda multinazionale.
In quel periodo, incontra le tematiche e le iniziative dedicate all’Inclusione, Equità e Diversità, e si appassiona all’idea di utilizzare le competenze professionali acquisite nell’ambito della comunicazione, a favore della costruzione di ambienti di lavoro e di relazioni interpersonali più rispettose e paritarie. Nel 2018 fonda Diversity & Inclusion Speaking©, finalizzata a promuovere il ruolo del linguaggio come strumento d’Inclusione, attraverso programmi di formazione, iniziative di comunicazione e progetti di ricerca.
Per più di 15 anni, il mio habitat naturale è stato quello delle agenzie creative. Ascoltare i bisogni e gli obiettivi delle aziende, individuare strategie di comunicazione e idee creative per promuovere prodotti, servizi, marchi. Valutare quale impatto sulla percezione della clientela e sul venduto si fosse generato…
Tutto questo fino al 2018. Poi, ho incontrato i temi della Diversità, Equità e Inclusione e ho deciso di mettere le competenze che avevo acquisito al servizio del cambiamento culturale e non più dei risultati commerciali.
Dato il mio passato, credo molto nel potere che un buon contenuto video o una campagna pubblicitaria ben articolata possono avere nello scardinare stereotipi e contribuire a diffondere narrative più eque e contemporanee. Soprattutto di quei gruppi sociali a lungo rimasti ai margini dell’immaginario collettivo, perché poco o per nulla rappresentati, e delle conversazioni sulle opportunità di business.
Le agenzie pubblicitarie si domandano come rappresentare le persone in modo più equo e autentico?
Ripensando a quella esperienza, però, non ricordo molte conversazioni su come rappresentare in modo più equo e autentico i ruoli di genere, oppure le persone disabili, quelle appartenenti alla comunità LGBTQ+, o di diverso background culturale. Per non parlare poi di quelle con corpi definiti “non conformi” (rispetto a cosa, poi?) oppure over 40. Tutte categorie per lo più assenti dai brief (documenti che danno il via a una campagna pubblicitaria) e, di conseguenza, dai tavoli di lavoro. In effetti, credo che una maggiore consapevolezza rispetto ai cosiddetti temi DEI (Diversità, Equità, Inclusione) il mondo dell’advertising l’abbia raggiunta piuttosto recentemente.
Un punto di svolta l’ha segnato il lancio di “Unstereotype Alliance” nel giugno 2017: nata su iniziativa di UN Women (l’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile), coinvolge molte aziende e gruppi di comunicazione in un comune impegno per sradicare gli stereotipi veicolati dalle pubblicità e dai contenuti mediatici, facendo dell’advertising una forza positiva per guidare il cambiamento culturale a livello globale. Inizialmente, il focus di Unstereotype Alliance era molto legato agli stereotipi di genere, ma si è poi evoluto per abbracciare uno spettro più ampio di diversità (culturali, legate all’età, alle disabilità, all’identità di genere, agli orientamenti affettivi, ecc). Oltre a rappresentare un impegno e un lavoro collettivi, Unstereotype Alliance porta avanti un’importante opera di monitoraggio, attraverso la pubblicazione di report che aiutano a fotografare la situazione e la sua auspicabile evoluzione.
Vediamo cosa dicono i dati su pubblicità e Diversity, Equity & Inclusion
Prima di tutto una rassicurazione, nel caso ci fossero dubbi: i marchi che si distinguono come più inclusivi, anche in termini di comunicazione, hanno migliori risultati di business (+3,46% nelle vendite a breve termine e +16,26% in quelle a lungo termine), migliori livelli di considerazione e intenzione di acquisto e un maggiore tasso di fidelizzazione della clientela. Tutto questo indipendentemente dalla categoria merceologica e dal Paese di riferimento (Fonte: The business case for inclusive advertising, Unstereotype Alliance, 2024 Unstereotype metric: 2024 key findings, Unstereotype Alliance 2025)
Quindi, comunicare in modo inclusivo è la cosa giusta da fare, non solo da un punto di vista etico, ma anche da quello di business.
Il mondo dell’advertising sta facendo la propria parte per contribuire a diffondere narrative e modelli culturali più equi?
La fotografia che ne emerge è abbastanza in chiaroscuro.
Se, da un lato, la rappresentazione femminile sta segnando un trend in crescita negli anni, arrivando a rappresentare il 43,7% dei ruoli principali nel 2023, le persone LGBTQ+ sono sottorappresentate, registrando una presenza solo per l’1,5% delle campagne rilevate in quell’anno.
Le persone disabili sono le altre grandi assenti nelle narrative pubblicitarie a livello internazionale, con l’1,3% dei personaggi.
I dati, inoltre, indicano un trend addirittura in decrescita per le persone con corpi non conformi, che si attestano al 6,2%.
Quando si tratta di età, le rappresentazioni più ricorrenti riguardano persone rigorosamente under 40: nel 68% dei casi per personaggi maschili, il 77% per quelli femminili (Fonte: Terán, L., and Conroy, M., The Power of Portrayal: Representation in Cannes Lions Film and Film Craft Shortlisted and Winning Work, 2006 to 2023, The Geena Davis Institute, 2024)
A conti fatti, si potrebbe fare meglio
Se a questo si aggiunge che l’Italia spesso non è neanche inclusa in queste rilevazioni, lo scenario è piuttosto desolante.
Sono fiduciosa, però, che i tempi siano maturi e che si stia imboccando la strada di un maggior senso di responsabilità e di opportunità (anche di business, come abbiamo visto) nel fare la propria parte. D’altronde, il Grand Prix ai Cannes Lions del 2025 (l’equivalente degli oscar della pubblicità) è andato alla campagna di Channel 4 “Considering what?!”, dedicata alle Paralimpiadi e forse conoscete le campagne di CoorDown (le trovate sul loro sito). Guarda caso si tratta di due esempi che riguardano il mondo delle disabilità, ma che non arrivano da aziende impegnate su questo tema.
I dati, i fatti, le persone, chiedono a gran voce che si cambi passo. Cosa stiamo ancora aspettando?