Verso una nuova paternità
Uomini in cammino tra retaggi e rivoluzione
di Abdul Kobe Zar

Abdul Kobe Zar
Nasce ad Accra, in Ghana, nel 1989. Dopo la laurea in Giurisprudenza nel 2015, consegue il Master in Diritto Internazionale sui diritti
umani alla University of Westminster di Londra. Giurista, attivista e scrittore, porta avanti battaglie di sensibilizzazione sulla diversità etnico-culturale e di contrasto a fenomeni come il razzismo.
C’è un vento di cambiamento che soffia tra le pieghe della genitorialità. Sempre più uomini stanno riscoprendo il valore profondo della paternità, scegliendo di esserci con una presenza autentica, accogliente e quotidiana. Non più semplici figure di supporto o distanti garanti della disciplina, ma padri attivi, coinvolti, emotivamente disponibili. In passato, la figura paterna era spesso associata all’autorità: severa, distante, legata all’uomo che portava il pane a casa e godeva di diritti e meriti se l’educazione del figlio era esemplare, ma che restava un genitore incolpevole in caso contrario.
Una realtà familiare che affondava le proprie radici e il proprio funzionamento nel patriarcato e nei concetti di mascolinità tossica.
Il padre aveva compiti ben distinti da quelli della madre, così come l’uomo li aveva da quelli della donna sin dalla tenera età.
Giochi, sport, atteggiamenti, faccende domestiche, istruzione, prospettive lavorative: ognuno aveva il suo mondo, e quasi mai si intersecavano.
Oggi possiamo parlare di una trasformazione lenta ma reale, che racconta una mascolinità in fase di riscrittura, di una figura paterna che cerca sbocciare all’alba di un mondo che sta stabilendo nuove dinamiche famigliari ed ha ampliato il concetto di famiglia.
Si sta assistendo, infatti, a un graduale assottigliamento dei confini tradizionali tra i ruoli di madre e padre.
L’affetto non è più esclusiva materna, così come l’autorità non è più prerogativa paterna.
La cura diventa un atto condiviso, una responsabilità equamente distribuita – almeno nelle intenzioni. Eppure, la realtà restituisce un quadro ancora troppo sbilanciato, frenato da retaggi culturali che tengono la società ancorata al passato.
Il linguaggio, in questo senso, è rivelatore: un uomo che accompagna i figli a scuola, prende un congedo parentale o si dedica attivamente alla cura della casa e della famiglia viene spesso definito “mammo”, come se la sua scelta fosse un’eccezione curiosa, quasi caricaturale, e non l’espressione legittima di una nuova normalità. Un’imitazione, non una presenza autentica. Questo termine non è solo inadeguato: è lo specchio di una società che fatica ad abbandonare l’ombra lunga del patriarcato. Un’etichetta che sminuisce invece di valorizzare, che ridicolizza invece di riconoscere.
Non solo il linguaggio, ma anche la risposta della società al cambiamento del ruolo paterno ci dice che la strada verso una nuova paternità è ancora lunga.
Spesso si fanno i complimenti a uomini impegnati in gesti quotidiani di cura verso i figli. “Che bravo papà!” si sente dire a chi spinge un passeggino o tiene un bambino in fascia. Gli stessi atti, se compiuti da una madre, sono considerati normali, quasi scontati, non meritevoli di lode. Quando è un uomo a farli, diventano straordinari.
La figura dell’uomo che “aiuta” in casa o con i figli non dovrebbe più esistere. L’uomo è un genitore: non aiuta, fa ciò che gli spetta. Non “tiene” i bambini, fa il padre. Contribuisce come la madre. Eppure, anche in famiglie dove entrambi lavorano, si continua spesso a pensare che la cura della casa e dei figli sia compito della donna. Il cambiamento sarà reale solo quando questi concetti appariranno profondamente sbagliati a tutti.
In Italia, tuttavia, la strada verso una reale parità genitoriale è ancora lunga. Il congedo di paternità, pur essendo stato esteso, resta simbolico: un frammento rispetto a quello garantito alle madri. L’educazione dei figli, nella maggior parte dei casi, continua a gravare sulle spalle delle donne, che devono conciliare lavoro e famiglia con carichi sproporzionati.
La disparità salariale aggrava ulteriormente questo squilibrio: molte madri rinunciano al lavoro o alla carriera perché il reddito del partner è più alto. E così il ciclo si ripete, mascherato da necessità economica. Una famiglia dovrebbe poggiare su fondamenta paritarie, e invece si regge ancora su ruoli tramandati e mai davvero messi in discussione. Il sistema va scosso dalla fondamenta per far crollare le sue strutture.
Ecco perché serve una presa di posizione più decisa da parte degli uomini. Un movimento consapevole, determinato, che non solo accolga il proprio ruolo all’interno della famiglia, ma lo rivendichi con orgoglio. Servono uomini che non abbiano paura di reclamare il proprio posto nella vita dei figli. Uomini che non vedano la paternità come un ostacolo alla virilità o al successo lavorativo, ma come un atto rivoluzionario d’amore. Essere padri, oggi, significa anche lottare per il diritto alla cura, alla presenza, alla tenerezza. Spezzare un ramo per iniziare a sradicare l’albero del patriarcato.
La nuova paternità non è una perdita, ma una conquista. Non una concessione, ma un diritto. E in questo cammino c’è spazio per tutti: per chi ha già cominciato a cambiare, per chi sta cercando il coraggio di farlo e per chi desidera immaginare un futuro in cui crescere i figli sia, davvero, un atto condiviso.