Vita da disabili
Viaggio tra diritti lesi e sensibilità ferite

Maurizio Massini
Le persone con disabilità si misurano ogni giorno con difficoltà inimmaginabili ai più. La parola disabilità fa riferimento a una qualsivoglia differenza dalle caratteristiche fisiche, sensoriali e psichiche considerate da chi ha progettato la società, i suoi ambienti e i suoi servizi.
Se pensate che si tratti di una esagerazione, in questo articolo troverete degli esempi concreti che mostrano come, deprivati anche temporaneamente del set standard di abilità, la vita possa diventare una corsa a ostacoli estremamente faticosa e, in molti casi, penalizzante dal punto di vista delle opportunità.
La possibilità di esprimere il proprio potenziale è diritto di ogni persona. Quando le condizioni esterne, quelle socio-ambientali in particolare, non lo consentono, ci troviamo in un contesto escludente, discriminatorio e privo di giustizia sociale.
Vediamo come tutti siamo esposti al rischio esclusione, e alcuni vivono la loro quotidianità con uno svantaggio palese sin dai blocchi di partenza.
Vita di tutti i giorni
Esco di casa per andare a lavorare usando i mezzi pubblici di Milano. La fermata del bus è dotata di un monitor che segnala il tempo di attesa. Essendo ipovedente, non riesco a leggere le scritte che scorrono piccole sul gobbo e rimango in attesa, senza poter scegliere se aspettare o andare a prendere la metropolitana. Fino a qualche mese fa, una comoda App dell’azienda dei trasporti, usando lo screen reader del telefonino, mi leggeva i tempi di attesa a ogni fermata dei mezzi pubblici. Poi, volendo implementare la possibilità di inserire sul telefonino gli abbonamenti ai mezzi di trasporto, l’App è stata rifatta, ma la nuova versione è inaccessibile in molte delle sue funzionalità, tra le quali la possibilità di leggere i tempi di attesa.
Così, invece di migliorare la vita delle persone fragili, l’azienda dei trasporti rilascia un’App che non si adegua alle nuove normative sull’accessibilità digitale e costringe gli utenti ad aspettare i mezzi, ignari del loro orario di arrivo. Le istituzioni pubbliche dovrebbero essere l’esempio di attenzione ai più fragili. Scelte che appaiono innocue o semplici distrazioni, rappresentano un aggravio per coloro che vivono una condizione di fragilità.
Proviamo ora a immaginare lo stesso percorso verso il luogo di lavoro di una persona in sedia a rotelle. Ammesso che il suo condominio gli/le consenta un agevole accesso alla strada, le difficoltà iniziano quando, anziché scegliere la strada più breve per raggiungere la fermata dell’autobus, questa persona deve cercare lo scivolo per scendere dal marciapiede. Guarda caso, in corrispondenza di questo scivolo, ci sono le strisce pedonali, sulle quali è parcheggiata l’automobile di un signore che è al bar tabacchi a prendere il caffè e le sigarette. Dopo un minuto, l’automobilista esce dal tabaccaio, si scusa del disagio arrecato, sale in automobile, e lascia libero il passaggio. L’autobus, nel frattempo, è passato e la persona in carrozzina aspetta il prossimo.
Quando arriva l’autobus successivo, il conducente vede la carrozzina, ferma il mezzo, scende ad aprire la passerella che consente l’accesso alle carrozzine. La gente fa spazio alla carrozzina che si posiziona nello spazio appositamente riservato. Nessuno commenta, ma la persona in carrozzina percepisce gli sguardi su di sé, spesso neutri, in altri casi, di malcelata insofferenza. Arrivata a destinazione, questa persona riprende il percorso a ostacoli tra marciapiedi inaccessibili e maleducazione diffusa.
Una donna in carrozzina si muove usualmente in automobile. Si sposta sul sedile del guidatore, piega la carrozzina e la carica in auto dalla porta posteriore scorrevole. Deve andare in ospedale a fare una risonanza magnetica e ha organizzato la sua vita per essere autonoma. Arrivata all’ospedale, scopre che non esiste un parcheggio dedicato vicino all’ingresso. Scarica la carrozzina ed entra a chiedere dove può lasciare l’auto. Le viene risposto che non esiste un parcheggio dedicato. Le viene suggerito di andare nel parcheggio dell’ospedale e cercarsi un posto. Di fronte allo stupore e all’incredulità della donna, le viene suggerito di tornare accompagnata da qualcuno che possa aiutarla. La donna alza i toni e quando intervengono altri dipendenti dell’ospedale a sedare l’alterco, le viene offerto di parcheggiare sul posto dedicato all’ambulanza.
La disabilità è talvolta invisibile, ma non meno faticosa sul piano fisico ed emotivo. Un ragazzo affetto dal morbo di Crohn non è distinguibile dalle altre persone quando si muove nel mondo. La sua caratteristica è costituita dall’urgenza improvvisa e irrimandabile di accedere a un bagno. Il suo intestino, infatti, è infiammato, e le scariche non sono rimandabili, così che la vicinanza di una toilette è indispensabile.
Di natura differente sono le difficoltà che incontrano le persone non udenti. La comunicazione con il personale in negozi, uffici, ospedali o ristoranti è complicata, dato che è raro che il personale conosca la Lingua dei Segni o che sia preparato per interagire con persone sorde. Il telefono, invece, risulta accessibile attraverso l’uso dei servizi di messaggistica istantanea.
È necessario ricordare che esistono anche forme di disabilità temporanee. Pensiamo a una malattia, una frattura che impone temporaneamente le stampelle, ma anche a una gravidanza faticosa o alla terza età. Quest’ultima, è bene ricordarlo, aggiunge progressivamente delle limitazioni che necessitano di accorgimenti particolari al fine di mantenere dignitosa la qualità della vita.
Nella vita quotidiana, la persona con una disabilità si vede costretta a organizzarsi in maniera da prevedere i possibili ostacoli che potrebbe incontrare: montascale e ascensori non funzionanti, tempi di spostamento più lunghi, necessità di assistenza da programmare, come accade negli aeroporti, passaggi inaccessibili, cartelli illeggibili e, elemento rilevante, la scarsa sensibilità delle persone che si incontrano e che non sempre si dimostrano attente e sensibili a semplici richieste.
Il punto di vista dei normodotati
Le persone senza una disabilità, ammesso che esista questa categoria, quando si relazionano con una persona con disabilità possono provare un qualche disagio. Alcuni temono di usare parole o atteggiamenti che potrebbero risultare offensivi o inadeguati. La mancanza di familiarità con le disabilità può generare una sensazione di disagio o goffaggine nella relazione con le persone con disabilità. Non voler “offendere”, creando tensione è una preoccupazione che può nascere nella mente del non disabile.
Inoltre, si tende a vedere la persona con disabilità attraverso una lente di sofferenza o limitazione, senza considerarne le potenzialità e le capacità presenti. Inconsciamente, alcuni possono assumere un atteggiamento paternalistico, trattando la persona con disabilità come se fosse un bambino.
Infine, le persone con disabilità possono apparire ignote nelle loro caratteristiche, e per questo possono generare inquietudine. L’esperienza diretta potrebbe migliorare la conoscenza di persone con disabilità riducendo il disagio.
Esiste poi un elemento che genera un ulteriore fastidio, le cui cause non sono sempre consapevoli: il rispecchiamento nella condizione di svantaggio, la quale genera imbarazzo, disagio e timori.
La strategia adottata dalle persone è quella di evitare rapporti diretti con la disabilità perché genera imbarazzo quando la si incontra.
Relazione con persone con disabilità
Come rapportarci con chi percepiamo come “diverso”, con colui che ci mette in imbarazzo per le sue caratteristiche?
Basterebbe ricordarsi che la disabilità accompagna le persone da molto tempo e, spesso, dalla nascita. Conoscono bene la loro condizione e ci chiedono di essere trattate alla stregua di chiunque altro. Se vi allontanate da esse, o le guardate con morbosa curiosità, alimentate il vostro disagio e mostrate tutto il vostro impaccio relazionale. Lei, ha già fatto i conti con la vita, e vi chiede solo di essere vista come tutte le altre persone. Offrite aiuto se la vedete in difficoltà, ma agite solo con il suo assenso. Inoltre, fatelo in modo naturale, come lo fareste con chiunque altro.
La disabilità, quando interviene, ci limita e ci accomuna nella fragilità, ma anche in questa condizione, desideriamo naturalezza e spontaneità.
Vita da disabili. Conclusioni
Chi vive da normodotato deve fare uno sforzo immaginativo per empatizzare con chi, ogni giorno, deve superare gli ostacoli ambientali presenti ovunque, e condurre in porto la propria vita. La disabilità implica fatica quotidiana che può essere ridotta progettando ambienti, strumenti e tecnologie accessibili.
Esiste soprattutto un carico psicologico legato alla disabilità, che si somma alle fatiche fisiche e organizzative. Stereotipi e pregiudizi, reali o immaginati, producono vergogna, senso di inadeguatezza, scarsa autostima e senso di valore. Essere “disabile” significa avere minori possibilità di scegliere e, quindi, una vita più faticosa per avere accesso alle stesse opportunità di chi è normodotato.
Lo stigma sociale storicamente riservato a chi è “diverso” comporta un percorso di emancipazione dai giudizi sociali per assumere una prospettiva propria, che vede la disabilità semplicemente come un modo d’essere e di fare, anziché un dato che rende necessaria assistenza in condizioni protette. La persona con disabilità non è un animale in via di estinzione da isolare e tutelare, ma un essere umano al pari di tutti e tutte, con dignità, diritti e doveri.